Coronavirus – Approfondimenti sulle misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche

Apr 29, 2021

Confindustria pubblica un approfondimento al Decreto-Legge 22 aprile 2021, n.52 “Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell’epidemia da Covid-19”

Il decreto-legge 52/2021 – facendo seguito al previgente DL 2/2021 – interviene sui consueti profili legati allo stato di emergenza nel quale il nostro Paese si trova da gennaio 2020, alcuni dei quali riguardano la materia della salute e sicurezza.

La proroga dello stato di emergenza al 31 luglio 2021

Con l’articolo 10, comma 1, il Governo ha prorogato lo stato di emergenza al 31 luglio 2021, modificando l’art. 1, comma 1, del DL 19/2020.

Viene anche prorogato al 31 luglio 2021 il DL 33/2020 che prevedeva, tra l’altro, il divieto di mobilità dalla propria abitazione per le persone in “quarantena in quanto positive” (art. 1, comma 6), l’applicazione della quarantena ai contatti stretti di soggetti positivi (art. 1, comma 7), il distanziamento di un metro nelle riunioni (art. 1, comma 10), l’applicazione dei protocolli per le attività produttive con sospensione delle attività che non garantiscano adeguati livelli di sicurezza (art. 1, commi 14 e 15) ed il sistema sanzionatorio (art. 2).

 Proroga del DPCM 2 marzo 2021 (art. 1)

L’art. 1, comma 1, proroga fino al 31 luglio 2021 il DPCM del 2 marzo 2021 (che era già stato prorogato dal 7 al 30 aprile dal DL n. 44/2021).

Evidenziamo che l’art. 4 di quel DPCM prevede che “sull’intero territorio nazionale tutte le attività produttive industriali e commerciali rispettano i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali di cui all’allegato 12, nonché, per i rispettivi ambiti di competenza, il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nei cantieri, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali, di cui all’allegato 13, e il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore del trasporto e della logistica sottoscritto il 20 marzo 2020, di cui all’allegato 14”.

Nel resto del provvedimento non sono presenti ulteriori disposizioni che modificano i contenuti di questa disposizione. La principale conseguenza di questa proroga – se non interverranno precisazioni formali o modifiche normative – è che il Protocollo del 14 marzo 2020, integrato il 24 aprile 2020, resta in vigore fino al 31 luglio 2021 e il nuovo protocollo sottoscritto il 6 aprile 2021 non entra in vigore.

In effetti, la richiamata disposizione del DPCM, non solo non fa riferimento al Protocollo del 14 marzo 2020 “e successive modifiche ed integrazioni” (il che avrebbe consentito di ritenere direttamente subentrato il  

nuovo Protocollo del 6 aprile 2021), ma fa espresso riferimento a quello “di cui all’allegato 12” del DPCM, il che conferma come non sia possibile nessuna sostituzione in corsa.

La violazione del Protocollo ha diverse conseguenze sanzionatorie formali: l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 4 del DL 19/2020 in caso di violazione “delle disposizioni di cui agli art. 1…” (espressamente richiamate dall’art. 13 del DL in commento), la sospensione dell’attività, la violazione dell’art. 29bis della l. n. 40/2020.

Quest’ultima disposizione, per la verità, fa espresso riferimento al Protocollo del 24 aprile 2020 “e successive modifiche ed integrazioni”, per cui, ai fini del rispetto dell’art. 2087 cc, occorre far riferimento al nuovo Protocollo. Il che, però, non fa che approfondire la criticità interpretativa, perché applicando nuovo protocollo, si viola la normativa emergenziale (che fa riferimento al vecchio Protocollo) e, applicando il vecchio, si viola l’art. 2087 cc, perché si applica un Protocollo non aggiornato.

È quindi difficile ritenere che – sul piano formale – sia legittimo adottare “di fatto” il nuovo Protocollo del 6 aprile 2021, che non risulta peraltro ancora formalmente sottoscritto da tutte le parti intervenute nella sua elaborazione.

Confindustria ha rappresentato la questione ai Ministeri del lavoro e della salute prima della pubblicazione del DL in Gazzetta Ufficiale, ma evidentemente non ci sono stati i margini per la integrazione del provvedimento.

L’unica via per ovviare al problema interpretativo – fino ad auspicabili interventi correttivi formali – sembra essere quello di modificare i Protocolli aziendali, i quali, a norma del Protocollo del 14 marzo 2020, ne seguono le misure, che sono tuttavia “da integrare con altre equivalenti o più incisive secondo la peculiarità della propria organizzazione”. Queste disposizioni potrebbero essere quelle – modificative o integrative – presenti nel Protocollo del 6 aprile 2021, in quanto “seguono la logica della precauzione e seguono e attuano le prescrizioni del legislatore e le indicazioni dell’Autorità sanitaria”.

Soluzione che si rafforzerebbe anche con il conseguente rispetto dell’art. 2087 cc, nel momento in cui si applica il Protocollo aggiornato (coerentemente con quanto previsto dall’art. 29bis della legge n. 40/2020).

Per quanto si tratti della soluzione probabilmente più opportuna, appare comunque indispensabile una indicazione formale da parte del Governo.

 Spostamenti per motivi di lavoro (art. 2)

La disposizione conferma la libertà degli spostamenti, anche in zona rossa ed arancione, per “comprovate esigenze lavorative”.

Ai fini degli spostamenti per motivi di lavoro e, in particolare, il rientro dall’estero, assumere particolare rilievo la previsione del comma 3, secondo la quale il possesso della “certificazione verde” “consentirà – secondo quanto disporranno i prossimi DPCM o ordinanze del Ministro della salute (art. 2, comma 3) – di “derogare ai divieti di spostamento da e per l’estero o a obblighi di sottoporsi a misure sanitarie in dipendenza dei medesimi spostamenti”.

Sembrerebbe, quindi, che i lavoratori – che ad oggi per gli spostamenti all’estero devono rispettare le note limitazioni al rientro – potrebbero rientrare senza soggiacere all’obbligo di quarantena/sorveglianza sanitaria, attualmente previsto a seconda del Paese di provenienza (in caso, ovviamente, di esclusione della positività al virus).

La previsione apre all’analisi di un delicato profilo attinente alla tutela della privacy, in quanto la gestione del lavoratore in missione potrebbe riguardare anche la conoscenza del “beneficio” del rientro senza quarantena/sorveglianza sanitaria ovvero dello spostamento libero per un periodo superiore alle 120 ore.

 Certificazioni verdi Covid19 e privacy nei luoghi di lavoro (art. 9)

La disposizione anticipa l’iniziativa comunitaria di introduzione di una certificazione di avvenuta vaccinazione ed interseca l’aspetto lavorativo, oltre che per il profilo della gestione delle trasferte all’estero, anche per la gestione del lavoratore che sia in possesso del certificato di avvenuta vaccinazione.

Ricordiamo, a questo proposito, che il Garante della privacy ha pubblicato tre FAQ nelle quali precisa che il datore di lavoro non può chiedere conferma ai propri dipendenti dell’avvenuta vaccinazione, non può chiedere al medico competente i nominativi dei dipendenti vaccinati e che la vaccinazione anti covid-19 dei dipendenti non può essere richiesta come condizione per l’accesso ai luoghi di lavoro e per lo svolgimento di determinate mansioni.

Si tratta di un profilo di particolare interesse, in quanto seguendo queste coordinate, il datore di lavoro dovrebbe considerare irrilevante l’avvenuta vaccinazione (non potendone venire a conoscenza) e continuare a gestire i lavoratori esclusivamente secondo le regole vigenti (distanziamento, mascherina, igiene), cioè senza assegnare alcuna valenza dirimente alla vaccinazione, nonostante l’enorme impatto che questa ha sulla tutela della salute del lavoratore (il quale, secondo l’unanime pensiero scientifico, anche in caso di contagio, non subirebbe le pericolose conseguenze del lavoratore non vaccinato) e dei terzi (perché la capacità di contagio del soggetto vaccinato, seppur presente, è notevolmente inferiore a quella del positivo non vaccinato).

In questo caso, si pone il problema di adottare delle tutele formali per il datore di lavoro cui risulta precluso gestire i lavoratori secondo i normali principi di massima sicurezza e di coerenza, che consiglierebbero di organizzare l’attività tenendo conto delle condizioni di ciascun lavoratore (in questo caso, della condizione di vaccinato, che lo espone a rischi notevolmente inferiori in caso di contagio).

Una ipotesi potrebbe essere quella di richiamare nel Protocollo ed allegare il parere del Garante al fine evidenziare come la avvenuta vaccinazione – che non costituisce parametro di idoneità o meno ai fini della sorveglianza sanitaria – non può essere resa nota al datore di lavoro (nemmeno con la volontà del lavoratore), per cui non è possibile gestire l’organizzazione aziendale valutando l’opportunità di distinguere mansioni e attività distinguendo tra lavoratori non vaccinati e lavoratori vaccinati.

A breve, dovrebbero essere emanate altre indicazioni da parte del Garante in merito alla vaccinazione, per cui appare opportuno attendere la conoscenza dei relativi contenuti per poter adottare la soluzione migliore.

 Proroga di termini (art. 11)

Il decreto-legge proroga al 31 luglio 2021 alcuni termini, indicati nell’allegato 2. 4

  • La sorveglianza sanitaria dei lavoratori fragili

Tra i termini prorogati, quello relativo all’applicazione dell’art. 83 del DL n. 34/2020, relativo alla sorveglianza sanitaria dei lavoratori cd fragili. Considerato che tali lavoratori potrebbero essere già stati vaccinati in considerazione proprio della condizione di fragilità, non viene specificato se, per effetto della vaccinazione e del conseguente sviluppo degli anticorpi, essi possano essere riammessi, caso per caso, in servizio.

  • Lavoro agile

Viene prolungata al 31 luglio 2021 la portata dell’art. 90, commi 3 e 4, del DL n. 34/2020. Quindi, viene confermato sia il regime semplificato della comunicazione dello smart work (comma 3) sia la insussistenza dell’obbligo di accordo con i lavoratori (comma 4) sia la semplificazione degli obblighi di informativa (comma 4). La disposizione appare quanto mai opportuna dal momento che il Protocollo del 6 aprile 2021 ha sottolineato la natura precauzionale e modulabile del lavoro agile e solamente la prosecuzione delle modalità semplificate consente al datore di lavoro di assegnare allo strumento una valenza realmente precauzionale e di contrasto alla epidemia.

Il Decreto-legge in oggetto poteva costituire l’occasione per la proroga nel 2021 del finanziamento relativo alle ipotesi previste dall’art. 26, comma 1, del DL 18/2020 (quarantena e all’isolamento fiduciario) che quella norma equipara, ai fini economici, alla malattia. La norma, infatti, rifinanzia fino al 30 giugno 2021 solamente il finanziamento per i lavoratori cd “fragili”. L’Inps lo ricorda nel messaggio n. 1667 del 23 aprile 2021 e rinvia ad ulteriori eventuali finanziamenti la copertura di quelle situazioni.

Ne consegue che – sentito il Ministero del lavoro per le vie informali – i lavoratori in quarantena – a meno che non possano svolgere attività lavorativa in modalità agile – non hanno una tutela economica, né dallo Stato né dal datore di lavoro in quanto l’art. 26, comma 1, del DL n. 18/2020 introduce una tutela solo ed in quanto vi siano risorse economiche, come evidenzia anche l’INPS.

Ricordiamo, a questo proposito, che – anche secondo il Garante della privacy – il datore di lavoro può chiedere al lavoratore di rendere una dichiarazione che attesti il fatto di non aver avuto contatti stretti e di non provenire da Paesi a rischio. Ricordiamo, poi, che il personale in quarantena non può uscire dalla propria abitazione.

 La durata della sorveglianza sanitaria e dell’isolamento fiduciario al rientro dall’estero

Evidenziamo che, secondo il DPCM del 2 marzo 2021 – la cui validità è stata prorogata fino al 31 luglio 2021 – la sorveglianza sanitaria ha una durata di 14 giorni (art. 51) mentre, secondo l’art. 2 dell’Ordinanza del Ministro della salute del 16 aprile 2021 – la cui vigenza termina il 30 aprile 2021 – tale durata è ridotta a 10 giorni.

Poiché il recente DL n. 52/2021 non ha esteso l’efficacia dell’Ordinanza, dal 1° maggio torneranno ad applicarsi le misure del DPCM 2 marzo 2021.

Per superare la criticità, Confindustria ha sollecitato, ottenendone positivo riscontro dagli uffici del Ministero della salute, la proroga dell’Ordinanza del Ministro della salute.

Sanzioni (art. 13) ed entrata in vigore (art. 14)

Come sopra accennato, l’art. 13 sanziona (comma 1) – tra l’altro – la violazione dell’art. 1, comma 1, ossia il rispetto del Protocollo contenuto nel DPCM del 2 marzo 2021, il che esclude si possa riferire la sanzione ad un testo differente da quello riportato in allegato al DPCM stesso.

Con riferimento all’entrata in vigore, si torna ad evidenziare che, quindi, a decorrere dal 23 aprile 2021, salvo differenti indicazioni formali, permarrà in vigore il vecchio Protocollo del 14 marzo 2020, come integrato il 24 aprile 2020. Restano ferme, ovviamente, le osservazioni sopra riportate sul piano sostanziale.

Ovviamente, laddove dovessero intervenire indicazioni differenti, sarà nostra cura informare tempestivamente il sistema.

 

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